Integrazione della mente e del corpo

Dal Libro: “Niente di Speciale – Vivere lo Zen”
di Charlotte Joko Beck, Ed. Ubaldini

 

 

C’è una storia a proposito di un maestro zen che, mentre recitava i sutra (i sutra sono scritture tradizionali buddhiste spesso recitate ad alta voce), venne assalito da un ladro che gli chiese la borsa o la vita. Il maestro gli indicò dove teneva il denaro per pagare le tasse e, una volta che si fosse rifornito, di ringraziarlo per il dono. Il ladro fece così. Pochi giorni dopo venne arrestato e confessò vari crimini, tra cui il furto a casa del maestro zen. Il maestro obiettò che non aveva subito alcun furto, poiché gli aveva fatto dono del denaro e l’uomo l’aveva ringraziato. Scontata la pena il ladro ritornò per diventare suo discepolo.

Storie del genere sembrano bellissime e romantiche, ma supponiamo che qualcuno ci chieda in prestito del denaro e non lo restituisca, o che ci rubino la carta di credito e la usino. Come reagiremmo? Il problema di queste storie zen classiche è che hanno un’atmosfera antica e lontana da noi. La loro distanza dai nostri tempi ci può impedire di cogliere il punto. Il punto non sta nel furto o nella reazione del maestro. Il punto sta nel fatto che il maestro non giudicò il ladro. Quindi non vuole dire che la cosa migliore sia consegnare comunque a un ladro tutto ciò che vuole, perché a volte potrebbe non essere affatto la reazione migliore. Sono certa che quel maestro studiò la situazione, capì immediatamente che tipo di persona aveva di fronte (forse un ragazzo che con una spada sperava di arraffare qualche facile spicciolo), e seppe intuitivamente cosa fare. Quindi non conta tanto cosa fece il maestro, ma come lo fece. Il punto centrale è l’atteggiamento del maestro. Invece di giudicare si occupò semplicemente della situazione. Davanti a una situazione diversa, la sua risposta sarebbe stata diversa.

Non sappiamo di essere anche noi tutti dei maestri. Tutto ciò che facciamo dal mattino alla sera è un insegnamento: come parliamo a qualcuno a pranzo, come sbrighiamo le operazioni in banca, come reagiamo davanti alla lode o alla critica per il nostro lavoro, tutto ciò che facciamo e diciamo riflette il nostro livello di consapevolezza. Ma non possiamo desiderare di essere come quel grande maestro. Concludere: “Ecco, dovrei essere così” è un trabocchetto della mente. Uno “studente” che aspiri a ideali troppo alti si danneggia gravemente. Immagina di dover essere altruista, nobile e distaccato “come un grande maestro zen”. L’efficacia dei maestri zen di queste storie è che essi erano ciò che erano: il maestro non pensò due volte al da farsi. Se tentiamo di essere ciò che non siamo, diventiamo schiavi di una mente rigida e schematica, e inseguiamo un’idea preconcetta di come dovrebbero essere le cose. Non notiamo la nostra violenza e rabbia perché siamo presi dall’immagine di come dovremmo essere. Ma se le usiamo correttamente, se non cerchiamo di riprodurle semplicisticamente nella nostra vita, queste storie sono splendide. Intrinsecamente siamo perfetti così come siamo. Siamo illuminati. Ma finché non l’avremo realmente compreso, ci comporteremo in modo illusorio.

I centri zen e altri luoghi di pratica spirituale spesso ignorano ciò che deve accadere a un essere umano perché si produca la vera illuminazione. La prima cosa (attraverso vari passi, scorciatoie e trabocchetti) è l’integrazione di noi stessi in quanto esseri umani, così che mente e corpo diventino uno. Per molti è un compito che occupa la vita intera. Quando mente e corpo sono uno, non siamo più trascinati qua e là, sospinti avanti e indietro. Finché saremo dominati dalle emozioni egocentriche (e abbiamo migliaia di queste illusioni), non avremo ancora completato il primo passo. Prendere una persona che non abbia ancora integrato corpo e mente, e forzarla ad attraversare la stretta porta dell’illuminazione può forse indurre una potente esperienza, ma poi non si saprà come usarla. Vedere per un attimo l’unità dell’universo, non rende automaticamente più libera la nostra vita.

Finché ad esempio saremo preoccupati per qualcosa che ci hanno fatto, per esempio un furto, non siamo realmente integrati. Di chi è mai quel denaro, dopotutto? Perché un pezzetto di terra dovrebbe essere il nostro? Il possesso nasce dalla paura e dall’insicurezza, che ci spingono a impossessarci delle cose. Vogliamo possedere anche le persone. Vogliamo appropriarci di idee. Vogliamo avere opinioni. Vogliamo avere una definita strategia di vita. Finché seguiamo questi comportamenti, l’idea di poter agire spontaneamente come quel maestro zen è ancora molto distante.

La cosa importante è chi siamo momento per momento e come affrontiamo ciò che la vita ci riserva. Paradossalmente più corpo e mente sono integrati e più il lavoro diventa facile. Il compito che ci attende è l’integrazione con il mondo intero. Una volta raggiunta una relativa pace con noi stessi, l’integrazione con il resto del mondo diventa più facile. La prima parte del lavoro è quella che richiede più tempo e fatica, poi, una volta che è relativamente completata,molte aree della vita avranno la qualità di una vita illuminata.

Aprile 2016

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