Milano 01 aprile 2010
A proposito della moralità, prendiamo in esame lo schema, abbastanza semplice, dello sviluppo morale umano elaborato da Lawrence Kohlberg. Kohlberg ha scoperto, attraverso un’ampia ricerca, che gli esseri umani attraversano tre grandi stadi di sviluppo o di evoluzione morale. Essi sono chiamati preconvenzionale, convenzionale e postconvenzionale, o egocentrico, etnocentrico e mondocentrico. Per fare un esempio, un neonato non ha la capacità di prendere decisioni in modo articolato – è egocentrico . “E’ giusto ciò che è giusto per me, e al diavolo tutti gli altri”. Questa è la classica posizione narcisista. Poi il bambino cresce ed entra in un gruppo di pari: adesso “è giusto ciò che è giusto per il mio gruppo” – questo è etnocentrico. Certo, ‘etnocentrico’ è diventato, ovviamente, un brutto termine, ma comunque rappresenta uno spostamento in avanti da “è giusto quello che dico io” a “ è giusto quello che dice il gruppo”. Continuando nella loro crescita e sviluppo, gli individui passano dal livello etnocentrico al livello mondocentrico. Cercano di giudicare le persone senza pregiudizi di razza, colore, credo, sesso, ecc. Cercano di rendere i loro giudizi più imparziali, più equi e più compassionevoli. Questi stadi emergono in un ordine che non può essere invertito e ognuno è più elevato e più comprensivo dei precedenti. Ognuno è una dimensione più ampia di attenzione, sollecitudine e responsabilità. Ora, come si diceva prima, il problema è che, anche se sei allo stadio di sviluppo mondocentrico ma sei prigioniero del fraintendimento pluralistico postmoderno per cui niente è migliore o peggiore di qualcos’altro, allora sei esposto all’invasione egocentrica. In altri termini, se niente è più elevato o meno elevato nella scala dei valori morali, qualunque cosa io faccia, è giusta. Non c’è nessuna sfida per migliorare quello che sto facendo. Restiamo senza motivazione. Questa è una bussola morale a pezzi, nel senso peggiore del termine, ed è ciò che caratterizza l’orientamento culturale creativo, il pluralismo dilagante e il relativismo dilagante. Si tratta di qualcosa che è, inoltre, intrinsecamente autocontraddittorio, perché, quando si applica questo pluralismo che pretende che non ci siano gerarchie, si sta formulando un giudizio gerarchico – si pretende, cioè, che quel giudizio sia migliore degli altri. Questo è, dunque, il tipo di autoinganno cui si dà il nome di moralità nella nostra cultura. (Ken Wilber)