Milano 27 marzo 2010
Dobbiamo riconoscere che nei confronti del cambiamento abbiamo una resistenza molto forte. Non mi riferisco ai superficiali voltafaccia delle mode che caratterizzano la nostra società, ma alla profonda inerzia rispetto a qualsiasi autentica trasformazione del nostro modo d’essere. Nella maggior parte dei casi non vogliamo neppure sentir parlare della possibilità di cambiare, e deridiamo chi cerca una soluzione alternativa. Certo, nessuno desidera essere in collera, invidioso, risentito, pieno di paure e di rimpianti, insoddisfatto, ansioso, depresso, infelice, ma ogni volta che ci capita abbiamo il pretesto che in fondo sia normale, che faccia parte dell’esistenza. Così è la vita! Perché dunque cercare di cambiare qualcosa? Cerchiamo piuttosto di sopravvivere come possiamo! E questo equivale a distrarci, a cambiare aria, auto o partner, a consumare il più possibile, a ubriacarci di cose superflue, e soprattutto a evitare di confrontarci con l’essenziale, perché significherebbe metterci in discussione, guardarci dentro con sincerità, abbandonare l’infanzia, crescere e diventare responsabili di noi. Questo costa fatica. Un atteggiamento del genere sarebbe giustificato se fossimo veramente soddisfatti del nostro destino. Ma è davvero così? M.Ricard scrive citando Alain: “La stupidità è una malattia che si diffonde molto rapidamente, e si distingue soprattutto per la volontà di non essere guarita”. Come diceva un saggio tibetano: “Se davvero pensi che nella tua vita tutto sia perfetto, o sei illuminato o sei completamente imbecille!”