Milano 06 ottobre 2010

Ciò che si frappone tra noi e l’amore, tra noi e la gioia non è solo che abbiamo delle ferite non guarite, ma che siamo identificati con esse. Portiamo in noi un’autoimmagine ferita e crediamo che questo sia ciò che siamo. Siamo identificati con “il bambino emozionale” dentro di noi. Mi riferisco a questo spazio come al “bambino emozionale” perché è in balia di potenti emozioni che sono al di là del nostro controllo e, spesso, al di là della nostra coscienza. Fintanto che siamo presi con questa identificazione, siamo “fuori controllo” e guidati dalla paura, come una macchina guidata da un bambino impetuoso e non centrato. La paura è una caratteristica del “bambino emozionale”. A un alto livello di consapevolezza, cominciamo a vedere che la paura è un’illusione e che siamo nel grembo di un’esistenza benevola, ma nello stato mentale del bambino non siamo connessi a questa realtà. Dobbiamo prima riconoscere le paure che si agitano nel nostro bambino interiore. La paura del bambino interiore ha diverse origini. In primo luogo non è possibile per una natura così sensibile crescere nello stressante, repressivo e competitivo mondo occidentale senza sviluppare profonde paure. C’è poi il trauma della nascita in un corpo fisico e i diversi modi in cui questa avviene. Gli innumerevoli traumi subiti durante l’infanzia si sono solo aggiunti a quel trauma originale. Ogni durezza o invasione, sia pure in forma sottile, hanno scioccato la nostra naturale sensibilità. Infine, c’è la pura e semplice insicurezza del vivere in un mondo dove, di fondo, siamo inermi di fronte alle soverchianti forze della vita. Abbiamo molte paure ma, alla loro base, ce ne sono due essenziali: quella di non sopravvivere e quella di non ricevere amore, le altre sono derivati di queste; se infatti esaminiamo attentamente i nostri comportamenti e le nostre paure ci accorgiamo di come, in un modo o nell’altro, gran parte della nostra vita sia condizionata da queste due. Krishnananda